Rachel Armstrong è una docente presso la facolta di Architettura presso la University College London ma soprattutto una donna che sogna una città diversa, non più basata sul cemento ma “simile alla vita”.
Prendendo ad esempio il terribile tzunami che ha colpito il Giappone nel 2011, Armstrong tenta di esprimere il suo disappunto nei confronti dll’utilizzo che gli individui paiono oggi fare della tecnologia, resa molto poco attenta ed immortale dinanzi a catastrofi naturali di tale portata.
L’architettura dovrebbe dunque oggi vestirsi di nuovi progetti più vicini all’ambiente ma anche di propositi più responsabili, in maniera tale da munirsi delle adeguate armi per affrontare le sfide future, rintracciabili, secondo lei, solo in quelle che sono le proprietà che caratterizzano gli esseri viventi: ecco che dunque la richiesta è quella di aprire le porte ad un nuovo modo di concepire le costruzioni, non per forza fatte di acciaio e cemento ma anche di materiali biologici meno dannosi per la natura e proprio da essa discendenti.
La sua domanda è infatti la seguente: “Siamo sicuri che gli esseri viventi debbano vivere all’interno di habitat morti?”. La risposta non è semplice come sembrerebbe se solo decidessimo di fare un salto con la memoria in quel lontano passato dove l’uomo non viveva certo al quinto piano, ma protetto da alberi e cavità rocciose naturali. Forse un motivo ci sarà.
Quella che ci sembra un’impresa impossibile è stata in realtà già realizzata in diversi contesti del pianeta, basti pensare alla toilette di bambù ed ai ponti indiani fatti con le radici dei Ficus elastica, in grado di sostenere il peso di cinquanta persone, anche se trovare simili compromessi all’interno delle metropoli urbane non è certamente impresa facile.
Se però architetti ed artisti come Dalì hanno deciso di invertire il “corretto” processo di lavorazione durante la costruzione della Sagrada Familia, lasciando che la materia si modellasse a seconda della gravità, tutto può teoricamente realizzarsi, soprattutto se ad essere sfruttata iniziasse ad essere la cosiddetta “Biologia sintetica”, una scienza in grado di immaginare e costruire nuovi sistemi viventi.
La “Living Architecture” non è solo un sogno, ma una possibile realtà, appicando all’architettura i principi della biologia, al fine di creare edifici capaci di adattarsi alle stagioni grazie allo sviluppo di una “sensibilità” conseguente al mutamento degli elementi circostanti.
Tra le tecnologie più fattibili si evidenziano speciali pitture in grado di ottenere l’isolamento termico degli edifici e l’utilizzo di alghe come componente del contesto architettonico.
Restiamo dunque in attesa di una reale messa in opera delle suddette teorie pratiche, certi che solo tentando di cambiare si riuscirà a raggiungere la vera trasformazione.
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